LA MIA BIBLIOTECA
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GIUSEPPE PETRONIO: LEGGERE SI IMPARA
Leggere è principalmente una passione - condivisa da una minoranza esigua della popolazione, ma non per questo meno importante. I sociologi amanti della statistica la riconducono all'habitus familiare, in soldoni alla presenza di una biblioteca nella casa in cui un bambino cresce, ma peccano di miopia. Senz'altro qualcuno che avvicina una persona a quel meraviglioso veicolo di mondi infiniti che è il libro può essere importante per stimolare la curiosità, dopo di che, è la predisposizione del terreno in cui viene piantato il seme che fa la differenza. Ma anche laddove questo terreno è fertile, a leggere anche si impara. Non dalla terza pagina dei quotidiani, ridotta a mera vetrina pubblicitaria, ma andando a cercare nell'opera di certi critici intellettualmente indipendenti. Ancora di più se si è lettori "forti". Come arrampicarsi su per una montagna, e, una volta in cima, scoprire che ci sono altre, infinite vette da affrontare.
LOUIS FERDINAND CÉLINE: DIFFIDATE DI QUELLO CHE VIENE RACCONTATO
Un genio si aggira nel secolo breve. E' un medico che si occupa di curare i poveri dei sobborghi parigini, spesso senza avere neppure il coraggio di chiedere loro i soldi per la visita. Un medico che negli anni '30 mette sulla carta lo squallore della condizione umana con un romanzo folgorante, riconfermandosi con il successivo. Intanto sull'Europa si accumulano le nubi di un nuovo conflitto mondiale. Le guerre sono tutte guerre combattute nel nome e per conto del capitale, aveva detto Marx, e lui, che aveva partecipato al mattatoio del '14-'18 lo sa bene. Cèline è un anarchico; ne ha abbastanza di divise e civili uccisi. Quando i fascismi ancora erano guardati con simpatia dalle grandi potenze che a breve poi li combatteranno, profeticamente alza la voce contro le grandi lobby che stanno tramando per ridiscutere con le armi i fragili assetti usciti dall'armistizio pochi anni addietro. Tra loro c'è anche la rete dei ricchissimi banchieri ebrei. Scrive tre pamphlet che all'epoca ricalcavano toni e sentimenti condivisi in ambiti che spaziavano dagli estremi dei pacifisti e degli interventisti. Poi la guerra. La Francia si abbandona all'abbraccio del nazismo; i suoi intellettuali - quelli che dopo si schiereranno con i partiti comunisti che guardano alla Russia di Stalin - silenziosamente prosperano, su tutti Sartre. Dopo il crollo del regime hitleriano si corre a schierarsi coi vincitori, e c'è bisogno di puntare il dito per distinguersi dai colpevoli. Contro Céline - che non ha mai collaborato, e neppure espresso simpatie per i nazisti - ci sono però i suoi famigerati pamphlet. E' un perfetto colpevole che riabilita agli occhi del mondo l'intellighènzia francese mettendo in secondo piano la passività verso gli occupanti tedeschi. Condannato a morte, è costretto a fuggire in esilio con la moglie e l'amato gatto Bèbert - patisce disagi fisici e psicologici, ma soprattutto l'isolamento culturale e la dissoluzione della sua opera. Ma lo stesso scrive pagine amare e sarcastiche, continua a lavorare sulla lingua contaminandola con l'argot e il ritmo delle emozioni che racconta. Poi la sua parziale riabilitazione gli permette di tornare in Francia, e inizia la battaglia con Gallimard per iscrivere le sue pagine nella Pléiade della letteratura mondiale. Minato nel fisico, si ritira nei sobborghi di Parigi con la moglie e i suoi animali. Lo scrittore è tornato ad occupare il posto che merita nella cultura mondiale, ma per l'uomo è ormai troppo tardi.
LUCIANO BIANCIARDI: LA VITA AGRA, L’INTEGRAZIONE, IL LAVORO CULTURALE
“Un uomo comune finito dentro a una vita comune per circostanze eccezionali” dice di lui Pino Corrias nella sua bellissima biografia Vita agra di un anarchico. Bianciardi appartiene alla selezionata categoria di artisti che tanto hanno dato senza ricevere niente in cambio. L’operaio che viene dalla provincia, capace di cogliere in tempo reale il decadimento culturale e civile del Paese che molti suoi contemporanei scambieranno per progresso; che ride delle stesse cose in cui altri intellettuali e artisti si immedesimano. “La mia è una disposizione d’animo, non una ideologia” scriverà: sulle pagine del Guerin Sportivo, insofferente alle lusinghe del blasonato Corriere.
Quando pubblica La vita agra, ha già alle spalle ottantasei libri tradotti, tra cui i Tropici di Miller, più altri cinque suoi già pubblicati. Ma il successo che lo coglie, inaspettatamente, in quel fatidico 1962 è l’inizio – non di una nuova vita – ma della fine. Alla soglia dei quaranta, gli restano solo pochi anni, nei quali il troppo bere e le troppe sigarette non riusciranno ad alleggerirlo da quella contraddizione intima e irrisolvibile che è la nostalgia di un luogo che non esiste.